racconto africano

riceviamo da  Franco Degiorgi  dal Burkina

Un evento normale e straordinario.

Arriviamo al Centro di Salute di Bougretenga al mattino verso le sette, si tratta di fare il punto sulle attività del programma assieme agli infermieri e ai volontari. Sono con Monsieur Ky, il supervisore di zona, e con Madame Baren, una funzionaria della regione. Davanti alla maternità si stanno già affollando le madri con i bambini, per la visita mensile di controllo, ma il personale non è ancora arrivato.

Il guardiano ci spiega che l’Infermiere “è in giro” e l’ostetrica “non si sa”. Ci mettiamo sotto a un mango e aspettiamo, osservando l’africa attorno a noi. A qualche centinaio di metri, una fila di donne è già davanti al pozzo per riempire i bidoni della giornata.

Passa un “crieur”, un araldo, in bicicletta, che lancia il suo richiamo e annuncia qualcosa in morè, naturalmente io non capisco niente. Un cane magro, pulcioso e disperato sta cercando qualcosa da rosicchiare tra la miriade di sacchetti neri di plastica, abbandonati tutt’attorno. Alti nel cielo gli immancabili avvoltoi.

Vedo arrivare un gruppetto di tre donne che ne sostengono una quarta, sono agitate, gridano qualcosa ed entrano nel dispensario, da dietro. Passano pochi minuti e già un’anziana si precipita fuori e, m’immagino, chiede aiuto. Monsieur Ky si è allontanato per fumare in pace, Madame Baren si stringe nelle spalle, lei non è mica un medico ….. Corro dentro, una donna è sdraiata sul pavimento di cemento immersa in un lago … di che? urine? acqua? Geme, piano piano, come se non volesse disturbare, vedo il suo pancione contrarsi una, due volte e le vecchie mi spingono avanti. M’inginocchio e neanche faccio in tempo ad allontanare il panno della giovane, che lei allarga le gambe e con un gioioso grido di soddisfazione mi fa sgusciare tra le mani ancora poco convinte, un bebè violaceo e scivoloso, mentre liquido amniotico schizza da tutte le parti e le vecchie battono le mani.

Mi rendo subito conto che è andato tutto bene, sono tranquillo e mi lascio andare a vivere le mie emozioni, davanti a questo grembo di donna che comincia ora a espellere la placenta e a questo fagottino che inizia a urlare. So benissimo che dovrei fare qualcosa con il cordone ombelicale, mi guardo attorno …. ci sarà pure dello spago e magari anche un paio di forbici rugginose ….. Arriva per fortuna e finalmente Monsieur Ky, molto professionale.

Si è messo il grembiule rosa dell’ostetrica e ha aperto un set sterile da parto. Dentro c’è tutto quello che serve, guanti, pinze e forbici chirurgiche comprese. Procediamo, lui ostetrico, io assistente. Adeline, la mamma, è serena e sorridente, si stringe il bimbo al petto e la aiutiamo a stendersi su un letto.

Mi dicono che è il terzo, ma è il primo di tutto il villaggio che è finito tra le mani di un bianco, un “nansara”. E’ anche il primo che ho raccolto con le mie mani, direttamente dal grembo della sua mamma. Ne avevo visti nascere altri, da studente e da padre, imbacuccato nel grembiule verde, con i guanti, la mascherina e la cuffia, ma oggi, su quel pavimento di cemento, è stata tutta un’altra storia. Di ritorno dal villaggio ne abbiamo riparlato con Monsieur Ky, anche lui ancora un po’ emozionato, ed è stato in quel momento che ci siamo resi conto di non sapere nemmeno se era nata una bambina o un bambino.