News dal Burundi

Nell’aprile del 2015 il Burundi aveva dovuto affrontare una grave crisi politico-sociale, scatenata dalle manovre del Presidente, Pierre Nkurunziza, che modificava la Costituzione per farsi approvare un terzo mandato. Era stato un difficile periodo di manifestazioni, violenze, sparizioni e assassini, che avevano determinato la fuga di oltre 200.000 burundesi, hutu e tutsi, verso il Ruanda e la Tanzania. Molti erano veri e propri perseguitati politici, altri, spinti dalla fame e dalla paura, coglievano semplicemente l’occasione per inseguire la speranza di una condizione migliore. Ora la situazione è relativamente migliorata e il paese è pacificato. Tanzania e Burundi, sotto l’egida dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (HCR), si sono accordati per il rimpatrio volontario di quanti lo desiderano.

Da ottobre è dunque in corso una gigantesca operazione di promozione e organizzazione per il rientro di circa 70.000 burundesi, con famiglie, bambini e anziani al seguito. Al ritmo di due convogli per settimana e di 400 rimpatriati alla volta, i profughi sono accompagnati con colonne di pullman dalla Tanzania ai siti di accoglienza e in due giorni sono rifocillati, identificati, forniti di alimenti e cash per tre mesi e avviati subito ai loro villaggi d’origine. GVC, cui già HCR ha delegato la gestione sanitaria dei 5 campi di rifugiati congolesi in territorio burundese, è stato coinvolto anche nell’operazione di rimpatrio.

A noi compete, nei siti di accoglienza, il filtro e la presa in carico dei profughi malati e, tra questi, soprattutto di quelli “cronici” ai quali va garantita principalmente la prosecuzione delle terapie per HIV, TBC, diabete, epilessia e malattie mentali; si aggiungono, naturalmente, i bambini affetti da malnutrizione acuta, che non mancano mai. Martedì scorso ho assistito a Nyambeterè all’arrivo e allo smistamento di un convoglio. Immaginate una colonna di bus, uno più scassato dell’altro, in arrivo dalla Tanzania, alle prime luci dell’alba, che riversano nel campo 400 persone, disorientate, spaventate, a volte malate e tutte, indistintamente, affamate. Ho visto mettersi in moto una macchina logistica formidabile, che, da un iniziale momento ludico, di canti e parole di rassicurazione e calda accoglienza, espresse dal politico di turno, è passata poi alla distribuzione in tendoni già predisposti dei nuovi arrivati e alla somministrazione di pasti e bevande calde. Lo staff medico di GVC ha visitato una settantina di persone, ha rilevato e trattato le patologie acute in corso (malaria, gastroenteriti), ha inserito nel sistema sanitario nazionale i malati cronici e li ha riforniti di un primo stock di farmaci essenziali. Già il giorno successivo i rimpatriati sono partiti verso i loro villaggi e le loro colline in Burundi, finalmente a casa. A sera nel campo era tornata la calma e squadre d’inservienti erano già al lavoro per ripulire le prospettive di tendoni bianchi per prepararle al prossimo convoglio. 

Tra i tanti rimpatriati, ricordo Madame Berthe Abwa. Era fuggita due anni fa con i suoi quattro figli e il marito, un militante dell’opposizione, minacciato di morte. In Tanzania non ha avuto fortuna. Le hanno dato una casetta in argilla col tetto di paglia, acqua buona, alimenti, pochi ma sufficienti, e scuola per i bambini. Il marito però ha pensato bene di trovarsi una nuova compagna e anche un lavoretto, così, dopo pochi mesi l’ha abbandonata. E’ una donna allegra, ottimista e combattiva. Mi racconta le sue vicende senza troppe recriminazioni e il marito, serenamente, lo maledice. E’ tutta contenta di tornare a casa, a Muyinga; la sua famiglia la aspetta, c’è ancora un po’ di terra da coltivare e i bambini stanno tutti bene. Ce la farà.

Franco De Giorgi Bujumbura, 20 novembre 2017

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